Colloquio con i rappresentanti del Paese africano
Foto ANSA
“Quando sento certi discorsi in Italia mi viene da sorridere. Si dice che i migranti fuggono dalla guerra o dalla fame. In Eritrea non c’è guerra, anche se c’è una tensione politica con l’Etiopia. E non c’è fame, anche se manca la possibilità di affermarsi dal punto di vista economico”. A parlare è un funzionario dell’ambasciata eritrea di Roma, contattato da Il Populista.
Pur filo governativo, il suo punto di vista può aiutare a comprendere qualche elemento in più sul fenomeno (massivo) dell’immigrazione eritrea in Italia. Secondo le statistiche ufficiali quasi un immigrato su quattro proviene dal Paese del corno d’Africa. Gli eritrei sono in cima alla classifica, seguiti a molta distanza dai nigeriani. Giovani maschi, soprattutto. Costretti a scappare, dicono, dall’oppressione governativa: “I giovani non sono oppressi dal governo. Esistono disfunzioni che stiamo cercando di superare. Certo, esistono anomalie, ma non tali da indurre all’esasperazione. Stiamo lavorando per migliorare da questo punto di vista, ma non siamo uno Stato oppressivo”. In un’intervista alla radiotelevisione della Svizzera italiana, un esponente del governo spiegava come moltissimi eritrei facciano ritorno a casa per le vacanze, prova evidente del fatto che non si tratta di persone perseguitate o che rischiano la vita in patria.
Poi c’è il capitolo del presunto “servizio militare a vita”, spesso citato come una delle cause dell’immigrazione, se non la principale. Il funzionario dell’ambasciata di Roma descrive una realtà diversa: “Anzitutto non si tratta di servizio militare ma di servizio nazionale. Comincia al compimento dei 18 anni, prima dell’ultimo anno delle scuole superiori: i ragazzi frequentano un centro in vista del diploma, quindi effettuano 3 mesi di servizio militare e successivamente altri 15 mesi di formazione per un totale di 18 mesi. Chi ottiene voti alti accede ai college nazionali, gli altri seguono corsi professionali”.
Dopodichè i ragazzi vengono impiegati dal governo in qualcosa che assomiglia ai nostri “lavori socialmente utili”: “Questa massa di giovani dovrebbe poi trovare lavoro. Ma in Eritrea la situazione contingente è difficilissima. Anche a causa della tensione con l’Etiopia non c’è sviluppo economico, quindi alcuni di questi giovani vengono assegnati a compiti di supporto alle istituzioni, con un salario nominale. Vengono in pratica parcheggiati nelle istituzioni, senza un lavoro e uno stipendio vero e proprio, ma garantendo loro comunque una forma di sussistenza".
"Al momento la contingenza economica è così difficile che di fatto non esistono possibilità di avviare imprese. Il governo affronta in questo modo una situazione di emergenza, garantendo cibo per tutti e mantenendo bassi i prezzi sui beni di prima necessità. In Eritrea c’è la povertà, non la fame - conclude il funzionario dell'ambasciata - Certo, per le aspirazioni dei giovani questo è nulla e molti optano per l’emigrazione. Ma non scappano né dalla fame né dalla guerra. Arrivano in Italia e dicono che scappano dall’oppressione del governo nella speranza di ottenere il permesso di restare. Ma non è la verità”.
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