bolle di sapone
Foto Le Iene
Una pacca sul sedere ad una collega prima poteva costarti uno sguardo fulminante od un ceffone epico, oggi c’è la Procura, il licenziamento, lo sputtanamento, e la gogna a vita come molestatore seriale. Un falegname fu denunciato da una famiglia perché, ad una bambina recatasi nella bottega a ritirare della roba per i genitori, era stato intravisto dare un buffetto sul sederino. È stato denunciato con la sequela di travaglio emotivo e di difficile gestazione famigliare, caso di pedofilia s’era detto. Poi il fatto non aveva fondamento, il Tribunale ha spiegato alacremente che la differenza in questi atti è il carico di libido. Ovvero se il gesto viene compiuto con impulso sessuale o con bonaria intenzione. Sennò un papà che gioca col pisellino del figlio è un bruto omosessuale-pedofilo.
Chiariamo un punto essenziale. Inasprire ed applicare pene severe per molestia e per stupro è legittimo, sacrosanto, raccomandabile, ed anzi, è un principio da promuovere, incentivare e stimolare. Fine. Senza se e senza ma… Siamo sicuri però, di trovarci sempre di fronte a questo? Cosa accade quando invece la vittima sfrutta la propria posizione di credibilità sociale a prescindere?
L’unzione, il pubblico ludibrio, in casi come questo sono devastanti. Le persone, che siano volti noti o gente della strada, quando vengono sottoposte a queste accuse subiscono un’onta inimmaginabile. Disgusto, riprovazione, isolamento, perdono il lavoro, la famiglia, i figli, l’abbandono totale e l’eradicazione da qualunque ambiente vivano. Si diventa dei rifiuti umani per la società, da scartare senza possibilità di riciclo.
È giusto quando l’accusa è fondata, ma se non lo fosse la violenza con cui si viene diffamati, anzi calunniati ch’è peggio (anche da un punto di vista giuridico), dev’essere altrettanto ribaltata, usata e perpetrata con forza nei confronti dei delatori ipocriti, dei denunciatori che abusano del sistema. La bolla inventata dei casi di femminicidio, come se si fosse diffusa la pandemia, come se i maschi d’un tratto si fossero drogati di raptus di rabbia contro il gentil sesso (tutto a decoro di TG, servizi, inchieste), ha rappresentato una realtà che di molesto ha solo il non amore per la verità.
Vi ricordate il caso Weinstein? Siamo stati travolti da attrici in semi-disgrazia o in rilancio di notorietà che con interviste-immondizia e lacrime-coccodrillo ci hanno inondato delle brutalità del presunto orco-regista del mondo del cinema. Uno che santo non è, però s’è trovato riscontro nelle sue parole: "Ho offerto lavoro per sesso, mai costretto nessuna donna." Puoi sempre andare via indignata da un provino, darmi una sberla o mandarmi a fanc**o. Puoi denunciare questa pessima prassi, ma non puoi accusare di stupro, violenza, nessuno. Sei stata consenziente, non puoi lavarti la coscienza dopo anni e senza nessuna prova, demolendo la carriera (e non solo) di un altro.
Va di moda anche parlare di pressione emotiva, vittimismo psicologico, sicuramente scattano delle molle in chi pur di ottenere la notorietà aprirebbe ai propri servizi sessuali, ma qui con o senza passione, siamo davanti a forme di prostituzione. Come in un brillantissimo servizio ha ricordato lo psicologo-psicoterapeuta Raffaele Morelli: “Se volessimo portare in Tribunale chi esercita pressione psicologica, il 90% di noi sarebbe in carcere.” E ancora: “In ogni donna c’è una prostituta.”
Parole dure, emesse però contro chi vittima è sì, ma di se stesso e non dell’altrui coercizione. Poi la paranoia mediatica è dilagata anche in Italia, in cui abbiamo creato il nostro mostro Nazionale, il bravo regista Fausto Brizzi, prosciolto o perché erano scaduti i termini per presentare esposti per molestia, oppure perché “il fatto non sussiste.” Una delle attrici-accusatrici aveva mandato un paio di messaggini: “Grazie della bella serata.”; “È stato bello, quando ci rivediamo?” Tipico di chi viene stuprato, no? Chiedere un altro appuntamento e ringraziare per le ferite.
Ora Brizzi è giuridicamente senza pendenze, ma la sua testa penzola nell’Universo del Cinema. Famiglia distrutta, carriera stravolta, l’ultimo film uscì con il suo nome mondato dalle locandine, e la Warner Bros rescisse i contratti futuri.
Ah, una delle paladine del #MeToo, al secolo Asia Argento che non perdeva tempo: “Weinstein mi ha stuprata”, è stata accusata dall’attore Jimmy Bennett di stupro. Legge del karma? Un vile e meschino circuito in cui, a furia di girare attorno, ci si auto-inchiappetta.
Recentemente l'ultimo caso balzato alle cronache non vede sotto i riflettori volti noti, ma una ragazzina che fra un finto pianto ed una risata liberatoria, aveva mandato in carcere, a soli 15 anni, due ragazzini accusandoli di stupro e vergognosi gesti. Ha ricostruito uno scenario apocalittico, alla stazione dei treni: “Mi hanno messa a terra, tolto i vestiti e stuprata. Sentivo tanto dolore, ho gettato le mutande perché piene di sangue.” Ed a corollario una serie di messaggini pieni di minacce: “Ti violentiamo in casa. Questo è il coltello con cui ti ammazzerò.”
C’è voluto un anno e mezzo per ricostruire la montagna di bugie. La problematica “vittima” aveva inscenato ad arte dei fake con delle applicazioni, gli “stupratori” si trovavano in zone diverse, e addirittura un ragazzo non era manco mai uscito assieme a questa disgraziata. Nel frattempo però i carabinieri all’alba ti strappano da casa, comunità, isolamento, carcere, ed una vita segnata. Sei un rifiuto, uno scarto, una carogna, uno sputo dell’evoluzione umana. Dopo cinque anni finisce tutto in una bolla di sapone, la ragazza aveva ingoiato male il rospo della rottura del fidanzamento. Nemmeno la controdenuncia è andata a buon fine, i ragazzi a cui è stata distrutta l’esistenza non avranno giustizia. La “vittima” era incapace di intendere e di volere. Caso archiviato. Questo è un Paese civile?
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